Quasi un testamento spirituale di Benedetto XVI: Gesù sacerdote al “modo di Melchisedek”

Sono pochi nel libro di Benedetto XVI Che cos’è il Cristianesimo. Quasi un testamento spirituale (2023), i riferimenti alla sua vita trascorsa e alle scelte spirituali.
Tuttavia un capitolo – Il sacerdozio cattolico, pp. 96ss – rende giustizia all’animo sensibile di un pontefice che è stato molto amato nella Chiesa. Sono le pagine dove egli stesso riporta le meditazioni personali sulla differenza fra il sacerdote del Vecchio Testamento e il sacerdote del Nuovo.
“Nell’Antica Alleanza – scrive il papa – il compito centrale del «sacerdote» era di offrire il sacrificio e con ciò ottenere giustizia nel modo prescritto dalla Torah, ovvero rimettere nel giusto ordine il rapporto tra Dio e l’uomo per mezzo di un’azione prescritta da Dio stesso”. Invece “il ministero neotestamentario ... può consistere unicamente nell’annunciare la fede agli uomini per condurli alla fede e nella fede”.
Pertanto al “posto del culto con sacrifici di animali c’è Gesù Crocifisso. La sua donazione d’amore al Padre è il vero culto ... che non può essere sostituito da nulla di più elevato, perché non c’è nulla di più elevato dall’amore del Figlio di Dio fatto uomo, il quale sintetizza in sé e trasforma tutti i sacrifici del mondo”.
È evidente anche come l’antico ordine di Aronne-Levi, al quale spettava unicamente il compito del culto in Israele, sia “superato e Gesù stesso” si presenti “come il sommo sacerdote”. Ma mentre nel caso della gerarchia sacerdotale di Israele la continuità veniva assicurata da Dio stesso, “che donava i figli ai genitori, i nuovi ministeri poggiavano su una vocazione “donata da Dio e da riconoscere da parte dell’uomo ... C’è sempre [quindi], in ogni generazione, la speranza e la preoccupazione della Chiesa di trovare dei chiamati”.
Gesù fu “sacerdote in senso proprio”. Come è possibile? La Lettera agli Ebrei” (5, 1 ss) “scopre in Genesi 14, 17-20 e in Salmo 110 la risposta alla questione”.
“Quando Abramo libera suo nipote Lot dalla prigionia recuperando tutti i suoi averi, gli viene incontro innanzitutto il re di Sodoma, al quale tuttavia egli non riserva alcuna attenzione. Quindi entra in scena la misteriosa figura di Melchisedek, il re di Salem: «Offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedisse Abram con queste parole: ‘Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici’. Abram gli diede la decima di tutto», riconoscendone la funzione. Il Salmo 110, 4 riprende la visione e afferma: «Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek», frase che “dischiude un modo nuovo del ministero di sommo sacerdote. Gesù è veramente sommo sacerdote”.
Papa Benedetto fa quindi seguire i tre testi “che mi sono stati di aiuto decisivo nel mio cammino verso il sacerdozio”.

1) Il primo è costituito dalle parole per l’accettazione nello stato clericale in uso prima del Concilio Vaticano II, quelle del Salmo 16, 5: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi: la mia eredità è stupenda».
Il papa spiega che “tutte le tribù d’Israele, ogni singola famiglia, rientrava nell’eredità promessa da Dio ad Abramo. Più concretamente si esprimeva” nel possesso di un pezzo della terra promessa. Solo la tribù di Levi non disponeva di terreno, ma viveva “soltanto di Dio e per Dio” e in concreto delle offerte sacrificali che Israele riservava a Dio.
Questa figura si realizza nei sacerdoti della Chiesa che “vivono in modo nuovo e più profondo ... soltanto di Dio e per lui”. Concretamente si sostenteranno di quello che daranno gli uomini e “in questa trasformazione neotestamentaria dell’essere privi di terra dei leviti” traspare la rinuncia al matrimonio e alla famiglia che consegue dal radicale essere per Dio.
“È sempre vivo nella mia memoria – aggiunge il papa – il ricordo di quando, meditando questo versetto del salmo alla vigilia della mia tonsura, compresi cosa il Signore volesse da me in quel momento: voleva egli stesso disporre interamente della mia vita e nello stesso tempo e modo affidarsi interamente a me”.

2) Il secondo testo significativo per papa Benedetto appartiene alla II Preghiera eucaristica: «Ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale».
Tratto dal Deuteronomio 10, 8, compendia “la natura del sacerdozio, che a sua volta non si riferisce a una determinata classe di persone, ma a tutto il mondo e “in ultima analisi rimanda al nostro stare tutti davanti a Dio”: è l’«astare coram te et tibi ministrare», lo stare davanti al Signore, guardare a lui, esserci per lui.
Il papa aggiunge anche l’imperativo «Arctius perstemus in custodia», “stiamo di guardia nel modo più intenso”, come recitava un inno della Liturgia delle Ore dei monaci della Siria, qualificati proprio come «coloro che stanno in piedi». “Ciò che qui era considerato compito dei monaci possiamo con ragione vederlo anche come espressione della missione sacerdotale e come giusta interpretazione della parola del Deuteronomio: il sacerdote deve essere uno che vigila ... uno che sta in piedi: dritto di fronte alle correnti del tempo. Dritto nella verità, dritto nell’impegno per il bene ...”, retto, “impavido e disposto a incassare per il Signore anche oltraggi”. E servizio è “anche imparare a conoscere il Signore nella sua Parola e a farlo conoscere a tutti coloro che egli ci affida”.

3) Il terzo testo infine fu pronunciato alla vigilia dell’ordinazione, quando si impressero nel cuore del papa le parole della preghiera sacerdotale di Gesù in Giovanni 17,17-18: «Consacrali [santificali] nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo».
“Il termine santo – commenta – esprime la particolare natura di Dio. Lui solo è il santo. L’uomo diventa santo nella misura in cui inizia a stare con Dio”. “Il solo lavacro che può realmente purificare gli uomini è la verità, è Cristo stesso”. O, come afferma San Paolo nella Lettera ai Galati (2,20): Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me».
“Così alla sera di quella vigilia – scrive –, si è impresso profondamente nella mia anima che cosa significa davvero l’ordinazione sacerdotale al di là di ogni aspetto cerimoniale ... e che questo processo del divenire una cosa sola con lui, e il superamento di ciò che è solo nostro, dura tutta la vita e racchiude anche sempre dolorose liberazioni e rinnovamenti”.

P.I.M., 14 aprile 2023. Tutti i diritti riservati.




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